Art. 4.
(Accertamento della situazione di mobbing).

      1. Nei casi in cui il lavoratore agisce giudizialmente per la tutela dei suoi diritti relativi ad una situazione di mobbing, l'onere della prova è a carico del soggetto chiamato in causa.
      2. È posto a carico di colui che è accusato di perpetrare una condotta di mobbing l'onere di dimostrare l'inesistenza della predetta condotta di mobbing o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l'adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore ha presentato indizi sufficienti per lasciare presumere l'esistenza di una forma di mobbing ai suoi danni, ai sensi del comma 3.
      3. Si presume il mobbing fino a prova contraria in presenza di provati e ripetuti comportamenti che hanno per oggetto o per effetto quelli di:

          a) ridurre o danneggiare i contatti umani attraverso critiche e rimproveri ingiustificati, gesti e insinuazioni con significato negativo, minacce, limitazioni delle possibilità espressive e della libertà di pensiero;

          b) produrre sistematicamente isolamento ed emarginazione, anche attraverso la deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o la manipolazione delle stesse;

          c) variare in senso negativo le mansioni o le responsabilità del lavoratore senza ragionevoli motivi, anche sottoponendolo a sforzo fisico o psichico ovvero negandogli permessi od opportunità formative;

          d) attaccare la reputazione, l'immagine e la dignità della persona tramite

 

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calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose, insultanti o intimidatorie, ovvero anche attraverso l'applicazione ripetuta di sanzioni disciplinari e l'utilizzo di strumenti di controllo;

          e) condurre ad atti o minacce di violenza anche tramite sabotaggi o impedimenti deliberati nell'esecuzione del lavoro.

      4. Il comportamento qualificato come mobbing ai sensi della presente legge è valutato tenendo conto dei parametri fondamentali della durata, della frequenza e del tipo delle azioni aventi carattere di mobbing, della progressione della vicenda, del dislivello tra i soggetti coinvolti nonché delle finalità lesive dell'autore.
      5. È riconosciuto, fino a prova contraria, al datore di lavoro il diritto di rivalsa nei confronti di colui che è riconosciuto come diretto responsabile dei danni causati per effetto del mobbing, salvo quando:

          a) la mancata cooperazione fra i dipendenti deve essere imputata a una inadeguata organizzazione del lavoro o a una carenza di informazione interna e di direzione;

          b) in presenza di contestazioni provenienti dal lavoratore, sintomatiche di condizioni di lavoro rientranti nel mobbing, il datore di lavoro non si è adoperato per applicare efficaci contromisure;

          c) sussistono problemi organizzativi preesistenti e insoluti.